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Recensioni

Francesco Santoro: frammentazione del colore

La mia pittura è ancora in fase di sperimentazione, ho trascorso diverse fasi negli ultimi anni, sto cercando ancora di trovare la mia espressione massima, ma la cosa che mi affascina di più è la reazione chimica dei colori, la penetrazione tra loro e la tela. In ogni opera esprimo il mio stato d’animo, cerco di fare parlare i colori per rendere indelebile quello che sentivo nel momento in cui nascevano sulla tela.”

In questo pensiero di Francesco Santoro si legge il senso del suo fare arte oltre che la tecnica utilizzata, in entrambi i casi c’è una predilezione per il colore che si evince già da un primo approccio visivo con le tele.

Dopo gli studi, l’artista molisano ha intrapreso il suo personale percorso artistico fatto di nature morte, ritratti a matita e fiori ingranditi come da una lente, in cui l’uso del colore, sebbene trattato ancora in maniera accademica (retaggio del liceo artistico), ha in se il germe di quelle propensioni più eclettiche alle quali approderà nel giro di pochissimo tempo. Sono, infatti, del 2010 le prime tele in cui la frammentazione del colore già sperimentata negli anni precedenti viene messa a fuoco, generando un progressivo abbandono del tema figurativo.

Le tele di questo periodo sono quasi tutte astratte, prerogativa fondamentale per l’artista al fine di poter coniugare l’espressione del suo animo e la particolare reazione chimica tra i colori che tanto lo affascina. Come avviene nel gioco di un bambino, Francesco Santoro si lascia guidare da istinti primitivi che lo portano a mischiare sulla tela colori e materiali disparati (acrilico, olio, solvente, carta, etc…), servendosi ora della spatola, ora del pennello, come nella tela intitolata Undici e trentadue (tecnica mista su tela, 60 x 150 cm, 2010, collezione privata), il cui titolo non vuole comunicare un indizio a chi guarda l’opera in cerca di un senso visibile, ma è il tentativo dell’artista di dare un nome a quello stato d’animo che ha guidato la nascita dell’opera.

Lo stesso vale per la serie “Aforismi” del 2012,di cui fa parte la tela Definire è limitare (olio e smalto su tela, 100 x 100 cm, 2012, collezione privata) dove il senso dell’aforisma viene interpretato dall’artista in maniera propositiva: una linea orizzontale di colore bianco divide la superficie pittorica in due parti uguali, la zona superiore prevalentemente rossa e quella inferiore gialla, la linea viene intaccata con pochi tocchi di pennello rossi e gialli dando vita a un fuori schema.

Nel 2013 torna il figurativo grazie alla collaborazione con l’Archivio Pilone, l’importante archivio storico fotografico di Larino in cui sono custoditi gli scatti più antichi della memoria larinese. Nella serie “Particolori” Francesco Santoro utilizza foto in bianco e nero selezionate dall’archivio e le trasferisce ingrandendole sulla tela. In un secondo momento opererà con il procedimento della frammentazione del colore, facendo attenzione in alcuni casi al particolare dei volti, come accade in Adunata fascista (stampa e tecnica mista su tela, 2013) dove le espressioni, della folla indistinta, sono messe in risalto dal colore riscattandone la soggettività. Da ciò emerge una forte riflessione dell’artista sul tema storico del fascismo e le sue indelebili conseguenze oltre che sulla collettività anche sull’individuo. Lo sguardo di Francesco sul passato storico è anche un invito ai molisani e non solo, a prendere coscienza delle proprie origini e a valorizzarle, tenendole vive nella memoria, tramandandole di generazione in generazione attualizzandole attraverso l’arte.

Nella fase odierna prosegue il figurativo sperimentale della serie “Particolori”, con un interesse spiccato per la vita nelle sue espressioni ludiche e di bellezza, non si può infatti non sorridere di fronte alla tela intitolata Innocenza felice (100 x 100, stampa, smalto e acrilico su tela, 2014) raffigurante volti sorridenti di teneri fanciulli, o non rimanere catturati dalla sensualità de La dolce vita (50 x 70,stampa, smalto e acrilico su tela, 2014) in cui donne di un tempo ormai remoto sorridono benigne e compiacenti con gli occhi fissi verso un punto lontano, oltre la tela.

Dott.ssa Maria Giovanna Giorgetta (Critica in Storia dell’Arte)

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